mercoledì 14 settembre 2016

L’economia automatizzata e le sue conseguenze

Gli automi stanno rubando il lavoro, e il futuro, alle persone? Aumenteranno produttività e benessere globali? Difficile rispondere dopo che anche l'ultima stima del Cea, il board di advisor economici di Barack Obama ha calcolato che l'83% del lavoro a basso costo è a rischio di automazione. Una bordata che rischia di investire tutte quelle mansioni che in America vengono definite “sharing”, poco qualificate e quindi assegnabili ai robot. Uno studio recente, “Il rischio dell'automazione per gli impieghi nei Paesi Ocse: un'analisi comparativa”, porta invece a conclusioni diverse, asserendo che solo il 9% degli impieghi (in 21 Paesi) è destinato alle macchine. La ricerca, a sua volta era una risposta a un precedente paper “catastrofista” emanato dall'Oxford Martin School, che indicava nel 47% l'astronomica percentuale di impieghi spazzati via nel prossimo ventennio dalla robotizzazione in America. Passi avanti sul tema sono stati fatti da tre ricercatori, Michael Chui, James Manyika e Mehdi Miremadi, che, analizzando per la prima volta nel dettaglio duemila mansioni lavorative, nei soli Usa hanno individuato nel 78% la quota di lavoro fisico “prevedibile” ad alto tasso di automazione, ma riducendola a meno del 10% per le mansioni svolte da professionisti ad alto tasso di formazione, come i manager. Si potrebbe continuare ancora, ma prima di suonare il De profundis ai lavoratori occorre attendere. La guerra tra robot e lavoratori è infatti uno dei fronti principali della trasformazione impressa all'economia dalle incessanti ondate di rivoluzione tecnologica, oggi aggregate in un continuum virulento ma in realtà cominciate almeno nel XIX° secolo, con la prima grande rivoluzione hi tech di massa moderna, il “vapore”, che ha portato alla nascita dell'industria. Quella scoperta ha favorito una serie di una serie di miglioramenti nella produttività e nelle condizioni di vita delle persone, ma ci sono volute anche le battaglie dei lavoratori per diritti e salari. Molti dicono che siamo in uno scenario non dissimile, guarda caso una recente mozione al Parlamento Europeo del Partito Socialista del Lussemburgo ha chiesto di assegnare ai robot, rei di togliere il lavoro agli umani, la personalità giuridica in modo da poterli tassare. Provocatoria o meno, la questione è cocente, visto che anche secondo dati recenti dell'Ifr, la Federazione Internazionale di Robotica, lo stock di robot industriali è salito alla cifra record di 1,5 milioni di pezzi, con un trend di crescita annuale del 30%. Posto in questi termini il problema non è più decidere se i robot vanno fermati, ma piuttosto rendersi conto che siamo agli albori di una nuova era: il loro inevitabile avvento deve però coincidere con un upgrade della produttività e del benessere per tutti. Sono queste le premesse di una nuova, inedita, ricerca di Harm Bandholz, direttore degli analisti economici Usa di Unicredit, che ha analizzato le conseguenze economiche e sociali della robotizzazione a partire da molti dei succitati paper: la conclusione suona come l'allarme finale e anche come la nuova sfida ai governi del mondo. Dati alla mano, per Bandholz la produttività garantita dall'uso crescente e massiccio dei robot nell'industria è indiscutibile, con altrettanto evidenti ricadute positive (gli automi valgono lo 0,37% del Pil delle nazioni più avanzate, e hanno già creato più di venti milioni di nuovi posti di lavoro), ma i vantaggi rischiano di essere annichiliti da un paio di problemucci che attanagliano le economie più sviluppate: il livello dell'educazione non adeguato agli scenari della nuova economia robotica e, cosa non da meno, i profitti e il controllo delle mega corporation planetarie saldamente nelle mani delle oligarchie. Per Bandholz (lo ricordiamo, direttore di una unit bancaria) è urgente capire che i giovani non vanno più formati secondo rigidi standard razionali-cognitivi ma secondo raffinati parametri emozionali-relazionali: una macchina non potrà mai avere la nostra intelligenza emotiva e la nostra creatività, necessarie per le decisioni complesse. In secondo luogo, solo pochi studenti più ricchi oggi hanno reali opportunità di accedere a un livello di formazione qualificato che, da solo, garantisce redditi alti: questo significa condannare quello che una volta era il serbatoio del ceto medio a un range di mansioni de-qualificate, condannandolo a un'irrimediabile precarietà esistenziale. Urge quindi una nuova governance globale in grado di riallocare le risorse e i profitti a favore della rinnovata educazione per tutti. Ma, è bene ricordarlo, in ogni caso la colpa non sarà dei robot o della tecnologia.

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